E’ da un po’ di tempo che nell’anticamera del cervello mi sballonzola un pensiero; esso va facendosi strada dentro me in maniera sempre più perentoria, finché oggi, poco fa a dire il vero, non mi si è esplicitato in tutta la sua baluginante semplicità.
Vivo ormai da troppi, troppi anni senza dei veri desideri.
Sono anni che, complice il lavoro, lo stress, i pensieri e la mancanza di tempo e prospettive e soldi, trascino i miei piedi lungo l’abisso desolante della disperazione. Sono come quel noto personaggio di Ecce Bombo che seduto sul letto dice “E faccio finta”, e ancora “La dissociazione mia!!!”.
Ora, la figura retorica del trascinare figurativamente i piedi, piuttosto che camminare, racchiude nella sua peculiarità semantica il messaggio principale di questo mio guazzabuglio di parole.
Dice infatti giustamente Claudio Chieffo, “Cammina l’uomo quando sa bene dove andare”. Ecco, io non cammino; trascino i piedi. Perché non ho capito esattamente dove minchia devo andare, ma soprattutto, soprattutto, non ho capito dove minchia va l’Uomo su questa terra, l’Uomo con la U maiuscola, U come le desinenze inclusive di Boris.
E la cosa aberrante, è che mi sembra che nessuno abbia la più pallida idea di dove stiamo andando. Noi non sappiamo più quanto stiamo antanto. Noi non sappiamo più quanto stiamo facento.
Ma, in questa crisi esistenziale (se di crisi si può parlare, dopo anni di nichilismo sconsolato e vuoto cosmico che si para innanzi a noi esseri umani affratellati), in questi ultimi giorni si è fatto strada in me un pensiero che oggi esplicito per la gioia dei vostri occhi avidi di speranza veicolata in termini plurisillabici.
Ho dunque capito qual è il mio più grande desiderio; non credete sia importante? Capire, dico, qual è il vostro più grande desiderio.
Pensateci un momento; qual è il vostro più grande desiderio? Ce l’avete, sotto sotto, incuneato nei reconditi meandri di fiumi di desideri minori che la Vita vi vomita in faccia sommergendo ogni vostra azione dall’alba al tramonto, un più grande desiderio?
Beh, il mio è il seguente: desidero che nel mio cervello si faccia strada la persuasione profonda che la vita dell’essere umano su questa terra sia una cosa grande e positiva.
Cari lettori, voi non potete neanche incominciare vagamente a grattare la superficie della comprensione di quanto dar voce a questo desiderio mi sollevi in parte dalle angosce.
E’ stato infatti questo, per anni annorum, il tarlo della mia anima: pensare, sotto sotto, che la vita dell’essere umano su questa terra è una cosa piccola e negativa.
Come si fa a pensare che la vita sia una cosa grande e positiva? Non lo so; so solo che è un pensiero che desidero immensamente. Lo bramo; ne sono assetato.
E pensare che un tempo questo pensiero albergava nel mio cervello; si può chiamare fede? La fede in una sensatezza di fondo nelle umane sciagure che ci curvano alla materia, come la composizione di culi de Le 120 giornate di Sodoma?
Ho conosciuto tanti adulti che, con gran pace e tranquillità, se non profonde, almeno simulate alla perfezione, mi hanno confidato di non avere la minima fede nella sensatezza della vita, nel Logos che benigno dovrebbe guidare i nostri passi secondo il precetto base della religione cristiana che io sposavo con zelo di accolito negli anni della mia adolescenza.
Come si fa a vivere credendo che Dio non ci sia? Non trovate che sia inaccettabile anche la sola idea? Non è profondamente nauseante, il pensiero della nostra eventuale disgregazione nella polvere?
Ma non è neanche questo, il problema! Non è neanche la morte! Ecco, visto? Il pensiero che rifulgeva limpido nel mio cervello non riesce a stare fermo là; subito si annacqua di un generico rifiuto della morte.
No, non è la morte, il problema.
Il problema è l’insensatezza apparente della vita.
Come si fa a vivere senza pensare che la vita abbia un senso?
Rincaro la dose: se anche il pensiero che la vita possa non avere senso debba sfiorare il nostro cervello, come facciamo a non viverla con problematicità?!
Non sopporto la gente che accetta la prigione in cui siamo rinchiusi; la gente che ritiene sia positivo farci l’abitudine, perché tanto il mondo deve andare così, i nostri cari devono morire ed abbandonarci, e noi dobbiamo farcene una ragione.
I miei cari amici atei non lo sentono, questo grido che scuote le fondamenta del Cosmo? O fanno finta di non sentirlo?
Beh, io lo sento, e non intendo far finta di non sentirlo; né desidero essere trascinato dalla società in questo scellerato gioco di volontaria censura.
Che nel mio cervello si faccia strada la persuasione profonda che la vita dell’essere umano su questa terra sia una cosa grande e positiva: questo io desidero.