“Esse sono, certamente, sintomo di una malattia mentale profonda.“
-Io-
L’altroieri, 9 novembre, sono andato ad un supermercato. Le lucine natalizie rifulgevano gioconde. Mi sono stropicciato gli occhi come nei film, e sono entrato in trance nello scintillante negozio, in cui un elegante assistente scaffalista dal probabile nome di Jean-Pierre esclamava alla sua superiora “A Elisabbé! Andò i devo da mette i panettoni daa Motta?”
In un anno in cui a Roma e dintorni si è girato a ottobre in ciabatte e pantaloncini anche se non eri un turista del Wisconsin, aver appena iniziato a valutare se infilarsi la felpina per uscire quando fa buio, in un certo qual modo cozza
con decorazioni natalizie nei luoghi dediti allo scambio tra merce loro e denaro tuo.
Ora, ho capito che questi devono vendere, ma non sarebbe d’uopo un filino di dignità?
Sarebbe interessante capire chi sono i super psicologi del marketing (detti anche psicologi del supermarketing) che, seduti intorno ai tavoloni aziendaloni, partoriscono queste idee economicamente redditizie ma culturalmente devastanti.
Ma, prima di capire ciò, dovremmo cercare di capire perché la gente media, quando entra in un negozio agghindato tutto natalizio, decide di scambiare più soldi propri con più merce del negozio. Qual è il meccanismo????? E’ novembre, cacchio! Non devi fare sempre la solita spesa????? Sempre mezzo chilo di macinato, un litro di latte, due pacchi di pasta e un pandoro della Motta spalmato di caviale del Volga firmato Dolce e Gabbana devi comprare…
OH. MIO. DIO.
Ci avete fatto caso? L’avete visto anche voi?
Se non ci avete fatto caso, vi prego di rileggere la lista della spesa, in cui ho involontariamente infilato un bene che non avrei mai acquistato se non fosse stato per tutti quei lumicini brillantini carini carini!!!!!
Sono stato traviato, me medesimo, dal baldanzoso richiamo al Consumo!!!!!
La nascita del Dio Acquisto ha imbambolato anche le mie, di sinapsi!!!!!
Adesso che cavolo potevo farci, con questo mezzo chilo di macinato, al cui acquisto ero stato spinto mio malgrado da messaggi subliminali paganofestosi? Buttarlo non potevo; mi sentivo in colpa, con tanti influencer che con la crisi non arrivano a fine mese.
Ho deciso di usarlo per condire il solito pandoro della Motta spalmato di caviale del Volga firmato Dolce e Gabbana, che acquisto regolarmente tutto l’anno.
Mia moglie ha gradito; il macinato e l’inchiostro si sposano divinamente, fanno tutto un connubio di sapori eccetera.
Ma addentriamoci adesso, senza paura, nel più tenebroso degli anfratti neuronali che hanno collettivamente partorito tale usanza pubblica e (per quanto riguarda la mia esperienza personale) privata.
Sì perché (come dice Giacobbo), ho scoperto di possedere amici e conoscenti, e persone che stanno rapidamente ritransitando dalla prima categoria alla seconda, che… HANNO GIA’ FATTO L’ALBERO DI NATALE A CASA.
Io, al pensiero che torno a casa dal lavoro grondante di sudore dal clima monsonico, e vedo lo stramaledetto albero di Natale quando mancano ancora 6 stramaledette settimane a Natale, non so come potrei reagire. Forse potrei perdere l’appetito per quello strano ma corroborante panettone che ha ormai conquistato il mio altrimenti arido cuore (ma questo è un altro discorso, in cui scelgo di non addentrarmi). Forse potrei usare il panettone (anche se mi sa che era un pandoro, poi ricontrollo cosa ho scritto) per farcire l’albero summenzionato, prima di buttare tutto dalla finestra; e anticipare, in tal modo, il Capodanno napoletano.
Grandi domande volteggiano nella mia testa poco persuasa e molto sudata. Una tra tutte è la seguente: se fai l’albero e ti mangi i torroni fin da fine ottobre, poi, il Natale vero e proprio, che cazzo avrà di speciale?!?!?!?! Sarà solo il giorno numero 164 di un periodo semestrale tutto luccicoso e decorato ed entusiastico, in cui incidentalmente è possibile che si faccia una mangiata in famiglia. Esclusa ovviamente un’ampia fetta di parenti lavoratori. Eh già! Perché la nostra “civiltà” ha portato il Natale nei giorni normali, e a sua volta il Natale è diventato sempre di più, come conseguenza, un giorno come gli altri; in cui i supermercati sono aperti, i ristoranti sono aperti, i negozi sono aperti, i lavoratori privati hanno consegne da rispettare, gli studenti hanno esami da preparare, e tutti continuano a lavorare, lavorare, lavorare, adorando insieme l’unico grande Dio Consumo che ci incita tutti, in primis, all’autoantropofagico consumo di noi stessi e della nostra vita, prostrata ad una schiavitù semivolontaria e semiconsapevole.
Del Dio che, fattosi cibo per i disperati, si lascia adagiare in una mangiatoia, i disperati stessi se ne sbattono… l’albero di Natale.