Una nuova, demenziale, definizione di razzismo + Canottiere a New York

1. La definizione “classica” di razzismo

Un tempo, il razzismo seguiva generalmente la seguente definizione:

La tendenza ad insultare o denigrare qualcuno sulla base del gruppo etnico o di alcune caratteristiche fisiche peculiari.

In particolare, il razzista di ieri caldeggiava, tacitamente o non, una qualche tesi fantasiosa secondo cui l’appartenenza al gruppo etnico, o la caratteristica fisica peculiare, implicasse la qualità da denigrare o insultare.

Di seguito una lista a scopo assolutamente esemplificativo (non sognatevi di attribuire al sottoscritto tali tesi, poiché esse mi ripugnano al sol pensiero):

  • “Chi ha i capelli castani lascia sempre la tavoletta del WC alzata”
  • “Le donne che guidano un’auto beige sono inclini alle relazioni extraconiugali”
  • “Gli zingari suonano tantissimo il violino con delle scale armoniche particolari”
  • “I Finlandesi quando mangiano puntano sempre i gomiti sul tavolo”
  • “Chi ha la pelle scura apprezza la frutta oblunga”
  • “Gli Ebrei sono pochissimo biondi”
  • “Gli handicappati capiscono meno dei normali1

Non reputate che tali frasi siano da condannare in toto? Per fortuna, recenti studi scientifici confermano che è così per la maggior parte delle persone, e difatti il mondo sta diventando un posto più sicuro e consapevole delle proprie potenzialità di Bellezza ma anche di distruzione. Staremo ad osservare l’evolversi della questione con la curiosità tipica di noi Sumeri.

2. La definizione moderna di razzismo

Da alcune attente osservazioni che ho potuto desumere dalla mia fissazione malata con Youtube, pare sia in voga una nuova, devastante definizione di razzismo:

La tendenza a lodare qualcuno, o fare un’osservazione neutra, sulla base del gruppo etnico.

Lo so, probabilmente direte: ma se sto lodando qualcuno, come caperpero faccio ad essere razzista? Eppure, cari Sumeri, potreste esserne tacciati.

Di seguito una lista di esempi (non sognatevi di eccetera):

  • “Hans è generalmente preciso e puntuale. Non me ne stupisco, in quanto so che è tedesco!”
  • “Giuseppina cucina benissimo. Non è un caso: come ben sappiamo, è siciliana!”
  • “Cin-Ciun-Cian suona il violoncello. Mi aspetto che sia bravissimo!”
    “Perché?”
    “Beh perché è cinese, no?”
    “No, è italiano.”
    “Ah.”
    “E quindi.”
    “Eh ma con quel nome…”
    “Con quel nome cosa?”
    “No, dicevo… Vabbè niente. Vabbè sarà bravo lo stesso dai.”
  • “Okegbemi è fenomenale ad evirare la gente col machete. Non me ne stupisco, in quanto come ben sappiamo è nella mafia nigeriana!”

Tornando seri per mezzo secondo, secondo2 me dire che certi popoli hanno una certa caratteristica X positiva non è un’affermazione razzista; tutt’al più è una semplificazione di una realtà più vasta e complessa. Ma, se ci pensate, ogni affermazione che una persona possa mai pronunciare è la semplificazione di una realtà più vasta e complessa. Non basta che queste affermazioni siano non-insultative? Ora qualcuno vorrebbe esigere che siano semplicemente taciute, e le nostre differenze statisticamente approssimative ignorate! Lo sapete di chi sono tipiche queste idiozie ideologiche dialettiche? Di quei bifolchi americani, tutti Google e banjo, sempre a mangiare hamburger e fare le guerre in giro per il globo, cribbio quanto mi ripugnano.

3. Canottiere a New York

Vi avevo promesso3, per restare in tema di razzismo, che avrei raccontato questa simpatica storiella, che vede protagonisti gli italo-americani che subiscono razzismo (quello classico) da almeno una dozzina di decenni.

Il motivo? E’ presto detto.

Dovete sapere, cari Sumeri, che un mio intimo conoscente newyorkese un giorno mi ha chiesto se, in quanto italiano, io indossassi un…

“Wife beater”

-Il mio conoscente americano-

Per chi non sapesse cosa vuol dire wife beater, esplico volentieri detta coppia di termini: wife significa moglie, e beater si può tradurre con picchia.
Letteralmente, picchia-moglie.

Insomma, il mio intimo conoscente newyorkese rivendicava di sapere se io indossassi un picchia-moglie.

Dopo essermi autoperquisito, ed avendo constatato che nessun tirapugni, manganello o mazza da baseball erano presenti sulla mia augusta persona, gli ho gentilmente chiesto che cazzo stesse fanfarando.

Egli mi ha risposto “You know, the sleeveless undershirt“.

Insomma, la maglietta senza maniche che si mette sotto ai vestiti…

Cribbio! Intendeva… la canottiera!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

E allora, mi sono fatto spiegare dal mio intimo (vi prego di perdonare l’ormai-gioco di parole) conoscente newyorkese perché le canottiere, nella Grande Mela, sono dette picchia-mogli.

“Beh, ma è ovvio” mi ha risposto lui. “Gli immigrati italiani indossavano le picchia-mogli, e si sa che picchiavano le mogli” ha aggiunto, con la tranquillità di chi disquisisce sul fatto che due più due fa quattro.

Effettivamente non fa una grinza; e se la fa, tanto sta sotto ai vestiti e non si vede.

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  1. Qualunque cosa significhi normale – spesso i razzisti di ieri danno per scontata tale definizione, che è tutto fuorché scontata. ↩︎
  2. Scusate la ripetizione. ↩︎
  3. Non è vero che l’avevo promesso. ↩︎